Di : Fabio Nobile
Con le dichiarazioni di questa settimana Bersani ha, in larga misura, definito il perimetro politico della coalizione Italia Bene Comune. Dopo le primarie che hanno spostato a destra il Pd, la solo paventata ipotesi di scesa in campo di Monti ha chiarito, per chi ancora non lo avesse capito, quali sono le esigenze del gruppo dirigente democratico. Accreditarsi, in primis agli occhi dei mercati internazionali, quale affidabile perno di una coalizione che guidi la stabilizzazione moderata attorno all’agenda Monti.
Ormai è chiaro che la messa in
discussione della stessa, in ragione degli equilibri creatisi,
porterebbe automaticamente allo sconquasso dello stesso Pd e alla fine
dei sogni di gloria dello stesso Bersani.
La frammentazione a
destra, la spinta di Monti e con esso del PPE porterà probabilmente ad
un’aggregazione centrista capace di rendere indispensabile e
politicamente decisivo l’accordo dopo il voto. Probabilmente i rapporti
di forza sul piano elettorale tracceranno gli equilibri definitivi, ma
la strada è segnata.
Si può riconoscere ora che in tale contesto,
se il Pd accettasse un pezzo della sinistra anti-montiana, si
tratterebbe semplicemente della resa di quest’ultima?
Oggi è
evidente a tutti che un confronto per una alleanza di governo con chi
afferma ad es. che «la questione articolo 18 è un capitolo chiuso», non
sia possibile per le forze comuniste. Anche i più fervidi sostenitori di
un accordo con il Pd credo possano riconoscerlo. Decisivo è infatti il
quadro generale: non si può sottovalutare che il Pd si stia facendo
strumento di governo dentro le compatibilità imposte dal capitale
finanziario. Così come allo stesso tempo non deve sottovalutarsi il
disagio che provoca questa nuova mutazione in quel partito. Per questo
motivo va investito di una critica concreta e materiale alle politiche
realizzate e non blandito. Ed ancora non può essere sottovalutato come
il Pd abbia interesse alla divisione del campo della sinistra,
inglobando e rendendone inoffensiva una parte e contrastandone un’altra
anche a mezzo di sbarramenti nelle leggi elettorali.
Molto spesso,
in politica, se si sbaglia l’analisi si rischia di sbagliare tutto. E
sono proprio i gravi ritardi in questo senso, uniti alla devastante
assenza d’iniziativa politica e ad un immobilismo paralizzante, ad aver
determinato un quadro così arretrato per i comunisti e per chi dovrebbe
rappresentare l’alternativa di sinistra.
Soltanto un’analisi
approssimativa, priva di un attento esame dei rapporti di forza
politico-sociali determinatisi dopo un anno di commissariamento del
Paese da parte dell’Europa, poteva portare a ritenere di avere ampi
spazi per una convergenza programmatica con il PD fino addirittura a
preludere un accordo di governo. Una volta appurato che i margini per un
confronto programmatico con i Democratici, come da più parti in
precedenza auspicato, sono venuti meno, è bene trarne le conseguenze. Si
deve sapere che alle elezioni politiche la sinistra non sarà in
alleanza con il Pd, benché esso nella percezione di massa sia ancora un
partito di sinistra, perché sull’art.18, il Fiscal Compact, la riforma
delle pensioni e le missioni internazionali il Pd sta sul fronte
opposto.
Soltanto l’autoreferenzialità ha potuto portare quindi i
comunisti riuniti nella FdS a dividersi, indebolendosi e rincorrendo
ipotesi assolutamente irrealistiche. In questo senso, ancora oggi, mi
sfugge il senso politico della partecipazione alle primarie da parte del
mio partito.
Se invece dopo il corteo del 12 maggio, con la
piattaforma anti-montiana di cui era portatore, si fosse praticata una
linea di autonomia unitaria che attorno al programma avesse verificato
le condizioni per le alleanze alla propria destra e alla propria
sinistra, forse il percorso sarebbe stato oggi più avanzato. E, visto
l’esito prevedibile, il costituendo quarto polo sarebbe potuto essere
più rosso e un po’ meno arancione. Come lo stesso corteo del 27 ottobre,
il “No Monti Day” avrebbe potuto essere con più forza un altro tassello
attraverso cui far crescere l’intero processo.
La storia non si
fa con i se, ma se oggi la credibilità elettorale di quanto si muove a
sinistra del Pd è così incerta deriva dal peso ancora enorme che il
politicismo ha avuto. Alla sinistra e ai comunisti il compito decisivo,
sul terreno della piattaforma e della prospettiva politica, di
caratterizzare il processo elettorale in fieri al fine di determinare le
condizioni politiche per una rinnovata stagione di lotte sociali dopo
le elezioni.
Tra poco si voterà e verificheremo l’esito delle
elezioni. L’impegno perché la sinistra e i comunisti siano presenti in
parlamento dovrà essere massimo. Dopo, però, si deve riaprire la
discussione sull’unità dei comunisti e sulla costruzione della sinistra
di classe, politica e sociale, dentro le lotte. Insomma un lavoro di
ricomposizione che sappia tracciare la strategia dei comunisti nel terzo
millennio, dentro la crisi più grave dal secondo dopoguerra. Ormai non
si gioca più.
Mai con il PD....noi siamo e dobbiamo essere l'alternativa ad un Pd che si definisce di sinistra e che sinistra non è..!!!!!!!
RispondiEliminaSe il movimento Arancione fa accordi con il PD lo stesso diventa un servo dei burattinai che muovono le Marionette del PD...Noi abbiamo l'obbligo di ridare una credibilità ad una politica che credibilità non ha più!!!!!
direi che sono d'accordo. se entrare il coalizione con il pd deve essere la speranza per recuperare la massa critica e con essa la consapevolezza di militanza che tenti attraverso l'eventuale governo bersani di ricostruire una sinistra operaia,credo che la storia ormai ci consegni un testimone più che chiaro:il fallimento totale.
RispondiEliminaè necessario dunque distinguersi da chi e da come per mandare alla gente un messaggio chiaro,univoco che dia la speranza davvero di qualcosa di percettibile,questo non sarà facile anzi sarà faticoso ma secondo me è l'unico tentativo che possiamo fare.
perciò,spazio a quei compagni che si fanno capire chiaramente.