venerdì 28 dicembre 2012
mercoledì 26 dicembre 2012
La rivoluzione Democratica
Cambiare si DEVE... |
di Checchino Antonini
Le dita che si intrecciano come fossero il cancelletto di twitter, dentro un'arancia. Un gesto che può fare chiunque, che facilmente può essere scarabocchiato sui muri. La scritta Rivoluzione democratica, cambiare si deve. Questo il simbolo, studiato assieme a Freccero dallo scrittoe Marco Rovelli e dalla semiologa Camilla Barone per la lista che sta per nascere. La proposta viene fatta dal palco del Quirino al termine di un dibattito che possiamo sintetizzare con questo titolo: affinità e divergenze tra il compagno Ingroia e noi. Ingroia, con De Magistris, prenderanno parola per chiarire e dire che si sentono a casa loro anche qui, al Quirino, all'indomani dell'evento che ha lanciato (quasi) definitivamente l'ex pm di Palermo alla guida della coalizione tra partiti e movimenti.
Guido Viale ha rotto il ghiaccio dopo l'introduzione di Revelli dicendo che questa è l'occasione formidabile per fornire un punto di riferimento per i feriti dalle politiche del governo Monti e della sua maggioranza parlamentare. La novità sta nel protagonismo del lavoro sociale diffuso nei territori, le discriminanti dovranno essere chiare: non sono possibili soluzioni senza mettere in discussione radicalmente l'austerità e i vincoli posti alla libertà d'azione dalla Ue. La carta d'intenti del Pd allude agli stessi temi di questa sala ma non mette in discussione né l'austerità né il pareggio di bilancio, la porcata più enorme del porcellum, e nemmeno il fiscal compact. «Su questo dobbiamo discutere con Ingroia, i suoi dieci punti sono ancora lontani dai nostri». E, per Viale, serve un partenariato con i movimenti europei anti austerity.
Anche per Gianni Rinaldini, predecessore di Landini alla testa della Fiom, il programma di Ingroia non è il programma di Cambiare si può: «Non dobbiamo avere solo l'orizzonte della scadenza elettorale ma attraversarla con un programma che vada oltre. Dobbiamo costruire l'opposizione di sinistra a quelle politiche altrimenti ce ne sarà solo una di destra». E' chiaro che sarà una lista eterogenea non solo di Cambiare si può. Alfonso Gianni dicendo che il tema nostro è come uscire dalla crisi senza un massacro sociale dà il commiato definitivo da Sel «che ha scelto il compromesso e archiviato la battaglia per la rifondazione della sinistra». Uno dopo l'altro gli interventi delineano la crescita, l'aspirazione per una soggettività alternativa ad Abc (Alfano, Bersani, Casini) che ha poca voglia di discutere col Pd. Lo spiega Eleonora Forenza (appartenenza multipla la sua in Rifondazione, nel No Debito e nei movimenti dei precari della conoscenza e nei luoghi di donne) suggerendo che quella di oggi sia un'assemblea sovrana. Roberta Roberti, di Parma, e Cinzia Bottene, no Dal Molin da Vicenza, chiedono chiarezza all'ex pm di Palermo che parlerà subito dopo di loro. Bottene è rimasta disorientata «dall'aria di convention all'americana» che si respirava ieri al Capranica, alla kermesse che ha lanciato Ingroia e gli dice che le sue quattro denunce le vive come una medaglia: «C'è legalità e legalità».
«Anch'io qui mi sento a casa (ma poi va via senza seguire il dibattito, ndr). E' vero che ieri l'atmosfera era diversa - chiarisce subito dopo Ingroia - ma non era nemmeno un'assemblea era una comunicazione, un appello a più destinatari, soprattutto a quella società civile che ha posizione chiare contro montismo e berlusconismo. Saremo irriducibilmente alternativi al neoliberismo seppure pragmatici e inclusivi con quei partiti che hanno fatto l'opposizione dentro e fuori il Parlamento». La società civile dovrà stare «in prima fila», dice Ingroia spiegando che il passo indietro chiesto ai partiti non significa debbano farsi da parte «ma mattersi in seconda fila». Capisce lo scetticismo, maggioritario in sala, sul suo proponimento di dialogare con Pd e grillini ma è un passo che lui intende compiere non foss'altro per verificare pubblicamente l'impossibilità di una convergenza e provare a erodere consensi in quei settori che si sentono in bilico tra questo polo e l'altro. E' più o meno quello che crede De Magistris che pure era parso il più possibilista su quel rapporto.
Prima del sindaco di Napoli interviene Paolo Ferrero, segretario del Prc, gli applausi sulle sue parole spiegano parecchio della composizione della sala. Ferreto è persuaso che la dimensione dell'austerity sia quella europea, che il liberismo distrugge democrazia e sovranità e che in Europa, però «non siamo soli, facciamo parte del partito della sinistra europea come Syriza, la Linke, Front de gauche e Izquierda unida» alla faccia di «provincialismo demente in cui sembra che l'unico problema sia il berlusconismo». Il leader di Rifondazione crede si debba costruire una coalizione «imparando dall'America latina, è sbagliato pensare che i partiti siano autosufficienti e che tutto il buono sia fuori di loro». La lista non sia sommatoria «ma i partiti devono partecipare» in questa operazione per valorizzare il lavoro sociale che, in molti casi è svolto da gente con una tessera in tasca.
Anche De Magistris infiamma la platea quando esordisce così: «Se qualcuno gli può spedire le valige dal Guatemale è meglio, Ingroia dev'essere candidato premier, io non riesco a immaginare una campagna senza di voi. Non riesco a immaginare che si riesca a fare l'accordo col Pd, che il Pd riesca a liberarsi della macelleria sociale ma quell'incontro va chiesto anche se durerà il tempo di un caffé. A Napoli s'è vinto perché c'erano società civile e militanti di partito ma non dev'essere una riverniciatura rosso-arancione di chi vuole ricostruirsi una verginità. Dobbiamo appassionare quel pezzo di Paese che non vuole morire depresso. Le condizioni per stare insieme ci sono». Mentre per stare col Pd non ci sono affato: più chiaro di altri, Franco Turigliatto di Sinistra critica ricorda la ferocia senza pari, il revanchismo delle borghesie contro le conquiste operaie del secondo dopoguerra e che il problema dei rapporti col Pd «sta nel suo voto alle stangate senza precedenti, nel voto alle modifiche costituzionali, i democratici sono avversari feroci che aiutano le classi dominanti nel massacro sociale». Turigliatto cerca una sintonia con i «segnali importanti giunti dalle piazze europee e anche nel nostro paese il 14 novembre. E' indispensabile il rapporto con questi movimenti».
«Ma come si può dialogare con Grillo che ha detto a Pavia di voler essere come la Lega delle origini? - chiede a questo punto Majid, "bresciano", migrante e comunista - oppure con quel Pd che quando era Ds ha costruito i lager con la Turco Napolitano?». Va controcorrente, ma forse fuori tempo massimo, il torinese Ugo Mattei che chiede un passo indietro a Ingroia: «La leadership o è contendibile o non ci deve essere. E poi non me la sento di andare in ValSusa dove un altro pm antimafia perseguita i compagni. Il candidato premier sia qualcuno non catapultato dall'alto e onnipresente in televisione». Col suo intervento termina la sessione dell'assemblea e inizia la discussione sulle regole. Le mozioni che usciranno saranno votate in sala e poi sottoposte alla validazione telematica, tra il 24 e il 26 tra i quasi diecimila aderenti all'appello. Le liste dovranno essere pronte il 10 gennaio e le firme dovranno essere raccolte entro il 20.
Le dita che si intrecciano come fossero il cancelletto di twitter, dentro un'arancia. Un gesto che può fare chiunque, che facilmente può essere scarabocchiato sui muri. La scritta Rivoluzione democratica, cambiare si deve. Questo il simbolo, studiato assieme a Freccero dallo scrittoe Marco Rovelli e dalla semiologa Camilla Barone per la lista che sta per nascere. La proposta viene fatta dal palco del Quirino al termine di un dibattito che possiamo sintetizzare con questo titolo: affinità e divergenze tra il compagno Ingroia e noi. Ingroia, con De Magistris, prenderanno parola per chiarire e dire che si sentono a casa loro anche qui, al Quirino, all'indomani dell'evento che ha lanciato (quasi) definitivamente l'ex pm di Palermo alla guida della coalizione tra partiti e movimenti.
Guido Viale ha rotto il ghiaccio dopo l'introduzione di Revelli dicendo che questa è l'occasione formidabile per fornire un punto di riferimento per i feriti dalle politiche del governo Monti e della sua maggioranza parlamentare. La novità sta nel protagonismo del lavoro sociale diffuso nei territori, le discriminanti dovranno essere chiare: non sono possibili soluzioni senza mettere in discussione radicalmente l'austerità e i vincoli posti alla libertà d'azione dalla Ue. La carta d'intenti del Pd allude agli stessi temi di questa sala ma non mette in discussione né l'austerità né il pareggio di bilancio, la porcata più enorme del porcellum, e nemmeno il fiscal compact. «Su questo dobbiamo discutere con Ingroia, i suoi dieci punti sono ancora lontani dai nostri». E, per Viale, serve un partenariato con i movimenti europei anti austerity.
Anche per Gianni Rinaldini, predecessore di Landini alla testa della Fiom, il programma di Ingroia non è il programma di Cambiare si può: «Non dobbiamo avere solo l'orizzonte della scadenza elettorale ma attraversarla con un programma che vada oltre. Dobbiamo costruire l'opposizione di sinistra a quelle politiche altrimenti ce ne sarà solo una di destra». E' chiaro che sarà una lista eterogenea non solo di Cambiare si può. Alfonso Gianni dicendo che il tema nostro è come uscire dalla crisi senza un massacro sociale dà il commiato definitivo da Sel «che ha scelto il compromesso e archiviato la battaglia per la rifondazione della sinistra». Uno dopo l'altro gli interventi delineano la crescita, l'aspirazione per una soggettività alternativa ad Abc (Alfano, Bersani, Casini) che ha poca voglia di discutere col Pd. Lo spiega Eleonora Forenza (appartenenza multipla la sua in Rifondazione, nel No Debito e nei movimenti dei precari della conoscenza e nei luoghi di donne) suggerendo che quella di oggi sia un'assemblea sovrana. Roberta Roberti, di Parma, e Cinzia Bottene, no Dal Molin da Vicenza, chiedono chiarezza all'ex pm di Palermo che parlerà subito dopo di loro. Bottene è rimasta disorientata «dall'aria di convention all'americana» che si respirava ieri al Capranica, alla kermesse che ha lanciato Ingroia e gli dice che le sue quattro denunce le vive come una medaglia: «C'è legalità e legalità».
«Anch'io qui mi sento a casa (ma poi va via senza seguire il dibattito, ndr). E' vero che ieri l'atmosfera era diversa - chiarisce subito dopo Ingroia - ma non era nemmeno un'assemblea era una comunicazione, un appello a più destinatari, soprattutto a quella società civile che ha posizione chiare contro montismo e berlusconismo. Saremo irriducibilmente alternativi al neoliberismo seppure pragmatici e inclusivi con quei partiti che hanno fatto l'opposizione dentro e fuori il Parlamento». La società civile dovrà stare «in prima fila», dice Ingroia spiegando che il passo indietro chiesto ai partiti non significa debbano farsi da parte «ma mattersi in seconda fila». Capisce lo scetticismo, maggioritario in sala, sul suo proponimento di dialogare con Pd e grillini ma è un passo che lui intende compiere non foss'altro per verificare pubblicamente l'impossibilità di una convergenza e provare a erodere consensi in quei settori che si sentono in bilico tra questo polo e l'altro. E' più o meno quello che crede De Magistris che pure era parso il più possibilista su quel rapporto.
Prima del sindaco di Napoli interviene Paolo Ferrero, segretario del Prc, gli applausi sulle sue parole spiegano parecchio della composizione della sala. Ferreto è persuaso che la dimensione dell'austerity sia quella europea, che il liberismo distrugge democrazia e sovranità e che in Europa, però «non siamo soli, facciamo parte del partito della sinistra europea come Syriza, la Linke, Front de gauche e Izquierda unida» alla faccia di «provincialismo demente in cui sembra che l'unico problema sia il berlusconismo». Il leader di Rifondazione crede si debba costruire una coalizione «imparando dall'America latina, è sbagliato pensare che i partiti siano autosufficienti e che tutto il buono sia fuori di loro». La lista non sia sommatoria «ma i partiti devono partecipare» in questa operazione per valorizzare il lavoro sociale che, in molti casi è svolto da gente con una tessera in tasca.
Anche De Magistris infiamma la platea quando esordisce così: «Se qualcuno gli può spedire le valige dal Guatemale è meglio, Ingroia dev'essere candidato premier, io non riesco a immaginare una campagna senza di voi. Non riesco a immaginare che si riesca a fare l'accordo col Pd, che il Pd riesca a liberarsi della macelleria sociale ma quell'incontro va chiesto anche se durerà il tempo di un caffé. A Napoli s'è vinto perché c'erano società civile e militanti di partito ma non dev'essere una riverniciatura rosso-arancione di chi vuole ricostruirsi una verginità. Dobbiamo appassionare quel pezzo di Paese che non vuole morire depresso. Le condizioni per stare insieme ci sono». Mentre per stare col Pd non ci sono affato: più chiaro di altri, Franco Turigliatto di Sinistra critica ricorda la ferocia senza pari, il revanchismo delle borghesie contro le conquiste operaie del secondo dopoguerra e che il problema dei rapporti col Pd «sta nel suo voto alle stangate senza precedenti, nel voto alle modifiche costituzionali, i democratici sono avversari feroci che aiutano le classi dominanti nel massacro sociale». Turigliatto cerca una sintonia con i «segnali importanti giunti dalle piazze europee e anche nel nostro paese il 14 novembre. E' indispensabile il rapporto con questi movimenti».
«Ma come si può dialogare con Grillo che ha detto a Pavia di voler essere come la Lega delle origini? - chiede a questo punto Majid, "bresciano", migrante e comunista - oppure con quel Pd che quando era Ds ha costruito i lager con la Turco Napolitano?». Va controcorrente, ma forse fuori tempo massimo, il torinese Ugo Mattei che chiede un passo indietro a Ingroia: «La leadership o è contendibile o non ci deve essere. E poi non me la sento di andare in ValSusa dove un altro pm antimafia perseguita i compagni. Il candidato premier sia qualcuno non catapultato dall'alto e onnipresente in televisione». Col suo intervento termina la sessione dell'assemblea e inizia la discussione sulle regole. Le mozioni che usciranno saranno votate in sala e poi sottoposte alla validazione telematica, tra il 24 e il 26 tra i quasi diecimila aderenti all'appello. Le liste dovranno essere pronte il 10 gennaio e le firme dovranno essere raccolte entro il 20.
mercoledì 19 dicembre 2012
Non è un Giallo...Non si gioca più
Di : Fabio Nobile
Con le dichiarazioni di questa settimana Bersani ha, in larga misura, definito il perimetro politico della coalizione Italia Bene Comune. Dopo le primarie che hanno spostato a destra il Pd, la solo paventata ipotesi di scesa in campo di Monti ha chiarito, per chi ancora non lo avesse capito, quali sono le esigenze del gruppo dirigente democratico. Accreditarsi, in primis agli occhi dei mercati internazionali, quale affidabile perno di una coalizione che guidi la stabilizzazione moderata attorno all’agenda Monti.
Ormai è chiaro che la messa in
discussione della stessa, in ragione degli equilibri creatisi,
porterebbe automaticamente allo sconquasso dello stesso Pd e alla fine
dei sogni di gloria dello stesso Bersani.
La frammentazione a
destra, la spinta di Monti e con esso del PPE porterà probabilmente ad
un’aggregazione centrista capace di rendere indispensabile e
politicamente decisivo l’accordo dopo il voto. Probabilmente i rapporti
di forza sul piano elettorale tracceranno gli equilibri definitivi, ma
la strada è segnata.
Si può riconoscere ora che in tale contesto,
se il Pd accettasse un pezzo della sinistra anti-montiana, si
tratterebbe semplicemente della resa di quest’ultima?
Oggi è
evidente a tutti che un confronto per una alleanza di governo con chi
afferma ad es. che «la questione articolo 18 è un capitolo chiuso», non
sia possibile per le forze comuniste. Anche i più fervidi sostenitori di
un accordo con il Pd credo possano riconoscerlo. Decisivo è infatti il
quadro generale: non si può sottovalutare che il Pd si stia facendo
strumento di governo dentro le compatibilità imposte dal capitale
finanziario. Così come allo stesso tempo non deve sottovalutarsi il
disagio che provoca questa nuova mutazione in quel partito. Per questo
motivo va investito di una critica concreta e materiale alle politiche
realizzate e non blandito. Ed ancora non può essere sottovalutato come
il Pd abbia interesse alla divisione del campo della sinistra,
inglobando e rendendone inoffensiva una parte e contrastandone un’altra
anche a mezzo di sbarramenti nelle leggi elettorali.
Molto spesso,
in politica, se si sbaglia l’analisi si rischia di sbagliare tutto. E
sono proprio i gravi ritardi in questo senso, uniti alla devastante
assenza d’iniziativa politica e ad un immobilismo paralizzante, ad aver
determinato un quadro così arretrato per i comunisti e per chi dovrebbe
rappresentare l’alternativa di sinistra.
Soltanto un’analisi
approssimativa, priva di un attento esame dei rapporti di forza
politico-sociali determinatisi dopo un anno di commissariamento del
Paese da parte dell’Europa, poteva portare a ritenere di avere ampi
spazi per una convergenza programmatica con il PD fino addirittura a
preludere un accordo di governo. Una volta appurato che i margini per un
confronto programmatico con i Democratici, come da più parti in
precedenza auspicato, sono venuti meno, è bene trarne le conseguenze. Si
deve sapere che alle elezioni politiche la sinistra non sarà in
alleanza con il Pd, benché esso nella percezione di massa sia ancora un
partito di sinistra, perché sull’art.18, il Fiscal Compact, la riforma
delle pensioni e le missioni internazionali il Pd sta sul fronte
opposto.
Soltanto l’autoreferenzialità ha potuto portare quindi i
comunisti riuniti nella FdS a dividersi, indebolendosi e rincorrendo
ipotesi assolutamente irrealistiche. In questo senso, ancora oggi, mi
sfugge il senso politico della partecipazione alle primarie da parte del
mio partito.
Se invece dopo il corteo del 12 maggio, con la
piattaforma anti-montiana di cui era portatore, si fosse praticata una
linea di autonomia unitaria che attorno al programma avesse verificato
le condizioni per le alleanze alla propria destra e alla propria
sinistra, forse il percorso sarebbe stato oggi più avanzato. E, visto
l’esito prevedibile, il costituendo quarto polo sarebbe potuto essere
più rosso e un po’ meno arancione. Come lo stesso corteo del 27 ottobre,
il “No Monti Day” avrebbe potuto essere con più forza un altro tassello
attraverso cui far crescere l’intero processo.
La storia non si
fa con i se, ma se oggi la credibilità elettorale di quanto si muove a
sinistra del Pd è così incerta deriva dal peso ancora enorme che il
politicismo ha avuto. Alla sinistra e ai comunisti il compito decisivo,
sul terreno della piattaforma e della prospettiva politica, di
caratterizzare il processo elettorale in fieri al fine di determinare le
condizioni politiche per una rinnovata stagione di lotte sociali dopo
le elezioni.
Tra poco si voterà e verificheremo l’esito delle
elezioni. L’impegno perché la sinistra e i comunisti siano presenti in
parlamento dovrà essere massimo. Dopo, però, si deve riaprire la
discussione sull’unità dei comunisti e sulla costruzione della sinistra
di classe, politica e sociale, dentro le lotte. Insomma un lavoro di
ricomposizione che sappia tracciare la strategia dei comunisti nel terzo
millennio, dentro la crisi più grave dal secondo dopoguerra. Ormai non
si gioca più.
martedì 18 dicembre 2012
E' nata una nuova realtà Politica..
Ebbene si, insieme al Compagno Fabio Nobile Consigliere Regionale del gruppo della FDS alla Regione Lazio, è nato un nuovo soggetto Politico che partendo dall'esperienza ormai pluriennale della Sezione Vigilanza Privata si è riunificato in un unico contenitore Politico dei nostri settori Commercio-Servizi-Turismo-Vigilanza, che fino ad oggi erano strategicamente divisi da una Politica Padronale e concertativa, con forme contrattuali che li contradistinguevano.
Noi ci siamo, noi Esistiamo, NOI VOGLIAMO L'UNIFICAZIONE di una categoria sempre più bistrattata...
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